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un immensa pozzanghera, si stendeva a perdita d occhio, interrotto qua e là da alcune
montagnole di sabbia che si ergevano come isole in mezzo alle acque paludose. Da
un lato, cioè verso il polo, si vedevano delle chiazze bianche scintillanti al sole: do-
vevano essere neve o ghiaccio. Faceva molto freddo, ma per fortuna io indossavo una
tuta termica. Aprii il visore del casco e provai a respirare. L aria era sottile, fredda e
umida. Dopo pochi istanti cominciai a provare un senso di vertigine, perciò rimisi a
posto il visore, senza tuttavia sigillarlo, e aprii un po' la valvola dell ossigeno, in mo-
do da arricchire l atmosfera marziana e renderla più respirabile.
Feci qualche passo e scoprii che l acqua si manteneva tutta allo stesso livello. Il
mare non era altro che un sottile strato di neve sciolta su di una superficie piana. Lo
scoprii durante la mia marcia stentata verso l equatore.
Sapevo dov ero sceso perché avevo potuto godere di una veduta d insieme del pia-
neta, dallo spazio. Mi trovavo in una delle strisce verdeazzurre che contornavano la
calotta polare più ampia. In quell'emisfero era la stagione del disgelo primaverile. La
grande calotta polare, una liscia distesa di ghiaccio e neve, cominciava a sciogliersi
con l avanzare della stagione e, sciogliendosi, le zone periferiche si trasformarono in
acqua che andava via via aumentando, mentre la calotta rimpiccioliva al calore esti-
vo. Il mare in cui ero precipitato non poteva avere un estensione troppo vasta, e a me
non restava che cercare di attraversarlo fino ad arrivare all asciutto.
Mi misi dunque in cammino. Non pensavo a niente, tanto avrei avuto tutto il tempo
di piangere sulle mie disgrazie, però dovevo andare avanti, perché mi era impossibile
bivaccare nel fango.
Attraversai il mare in un paio d ore. Verso l equatore, l acqua andava facendosi
sempre più bassa e i tratti asciutti erano più frequenti. Raggiunsi infine una zona che
rispondeva meglio alla mia idea del pianeta: un deserto di sabbia rossa, o bruno-
grigiastra, e, sebbene non si vedessero vere e proprie montagne, ondulato. Questo fu
il particolare che mi colpì maggiormente. Infatti il terreno saliva, gradualmente ma
continuamente, come se sotto la sabbia vi fosse un lastrone inclinato lungo chilometri
e chilometri. Scoprii che la mia supposizione era esatta quando scorsi in lontananza,
sulla mia sinistra, una parete rocciosa che si estendeva fino all orizzonte.
Mi avvicinai lentamente al dirupo, lontano forse tre chilometri dal punto in cui
l avevo visto, e nell avviarmi notai che due ampie zone di crosta rocciosa si erano
staccate, lasciando la roccia nuda che s innalzava per centinaia di metri, ripida e sco-
scesa. Ne risultava un dirupo pressoché invalicabile che ai lati, però, scendeva in un
dolce pendio. Mi diressi appunto verso uno di questi lati meno scoscesi e vidi che il
bassissimo mare prodotto dallo scioglimento delle nevi polari ne sfiorava già le falde.
Doveva essere proprio l inizio della primavera, ma già un po' di vegetazione spuntava
fra le connessure delle rocce. Andai a esaminare da vicino, cercando qualcosa di
commestibile. Come potete immaginare, il problema del cibo mi preoccupava non
poco. Per fortuna, sapevo che non sarei morto di sete perché l acqua marziana
l avevo trovata fresca e piacevole, anche se aveva un lieve sapore di ferro.
La vegetazione era giovane e tenera e nel complesso ricordava i nostri cactus. Ne
strappai alcuni germogli e li aprii. Erano dei bulbi carnosi che spuntavano a profusio-
ne sulle rive della distesa d acqua, ai piedi delle rupi. L interno era di polpa porosa.
Per fortuna si rivelarono commestibili, altrimenti sarei morto di fame. Dal momen-
to che chi si trova in uno stato di estremo bisogno non può fare lo schizzinoso, man-
gia quello che potei, senza preoccuparmi se fosse velenoso o no. Ma io credo che il
veleno, nei vegetali costituisca una protezione contro la voracità degli animali voraci,
era improbabile che i vegetali, nella loro evoluzione, avessero prodotto veleni.
Parlo con cognizione di causa, perché su Marte non vidi mai animali di grossa ta-
glia.
C erano delle creature dall apparenza di insetti, che comparivano all inizio del di-
sgelo. Somigliavano ai bruchi, perché erano pelosi e avevano due fitte serie di zam-
pette. Però non credo che fossero larve e che in seguito diventassero farfalle come
succede sulla Terra. Non ho mai visto creature dotate di ali, nella fauna marziana.
Cadde la notte, e io mi accampai al riparo di un monticello di terriccio, accanto a un [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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